venerdì 17 luglio 2009

GOOD MORNING FOGGIA -venerdì 17 luglio 2009



NOTIZIE






LA CRISI AL SUD.
Il Mezzogiorno in recessione. La crisi del settore industriale, che da sette anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord. Un’area da cui si continua a emigrare, nonostante esistano imprese eccellenti, che non si trasformano in sistema né intercettano stabilmente investitori e turisti stranieri: questa la fotografia che emerge dal Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2009, presentato a Roma giovedì 16 luglio.
Nel 2008 il Pil del Sud è calato del -1,1%, con una minima percentuale di differenza rispetto al Centro-Nord (-1%). Tuttavia il PIL per abitante è pari a 17.971 euro nel meridione, contro i 30.681 euro del Centro-Nord. Soltanto l’assottigliarsi della popolazione del meridione ha stretto di oltre 2 punti percentuali il divario rispetto al 2000.
Un altro indicatore rende l’idea della situazione stagnante: nel 1951 nel Mezzogiorno veniva prodotto il 23,9% del Pil nazionale. Sessant’anni dopo, nel 2008, la quota è sostanzialmente immutata (23,8%).
Meno colpita dalla crisi la Puglia ( 0,2%).
A livello settoriale l’agricoltura meridionale ha tenuto molto più di industria e servizi e ha invertito il trend negativo iniziato nel 2005. A fare le spese maggiori della crisi l’industria, con un calo del valore aggiunto industriale nel 2008 del 3,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato un calo di oltre il 6%. A tirare giù l’industria meridionale soprattutto macchine e mezzi di trasporto (-10,5%), settore dei metalli e chimico-farmaceutico (- 7,1%). In controtendenza invece il settore energetico.
Perdita più contenuta nel settore dei servizi, dove, dopo quattro anni di forte crescita, nel 2008 il Pil è sceso dello 0,3%, con un calo quasi del 3% nel comparto commercio.
Due le cause principali dell’andamento recessivo: investimenti che rallentano, famiglie che non consumano. Queste ultime infatti hanno ridotto al Sud la spesa dell’1,4% contro il calo dello 0,9% del Centro-Nord. Mentre gli investimenti industriali sono scesi del 2,1% annuo dal 2001 al 2008, tre volte tanto rispetto al Centro-Nord (-0,6%), anche a seguito della riduzione o abolizione di alcune agevolazioni (credito d’imposta, legge 488).

IL MEZZOGIORNO CENERENTOLA D’EUROPA
Il quadro diventa sconsolante se confrontato con le dinamiche economiche degli altri paesi europei. In dieci anni, dal 1995 al 2005, le regioni meridionali sono sprofondate nella classifica europea, situandosi in posizione comprese tra 165 e 200 su un totale di 208.
Un processo in decisa controtendenza con le altre aree deboli Ue, che sono cresciute mediamente del 3% annuo dal 1999 al 2005, mentre il Sud si è fermato a +0,3%.

LA DISOCCUPAZIONE CRESCE DI PIU’ AL CENTRO-NORD
Il tasso di occupazione meridionale nel 2008 è sceso al 46,1%. Gli occupati sono cresciuti al Centro-Nord di 217 mila unità, mentre sono scesi di 34 mila nel Mezzogiorno.
A livello regionale, risultati positivi per il terzo anno consecutivo per Molise (1,6%), Puglia (0,3%) e Abruzzo (3,2%).
A livello di settori la domanda di lavoro in agricoltura continua a scendere soprattutto al Sud (-2,8% contro il -1,5% del Centro-Nord).
In calo anche l’industria, che segna -2,4% al Sud (dopo il +2,9% del 2007).
Positivo solo il terziario, che registra comunque un rallentamento rispetto agli scorsi anni.
I disoccupati nel 2008 sono aumentati più al Centro-Nord (+15,3%) che al Sud (+9,8%).
All’Italia spetta il non invidiabile primato del tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa, di cui è responsabile soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2008 solo il 17% dei giovani meridionali in età 15-24anni lavora, contro il 30% del Centro-Nord.
Il tasso di disoccupazione effettivo del Sud è ad oltre il 22%.

IN CALO IL SOMMERSO, MA AL SUD E’ IN NERO 1 LAVORATORE SU 5
Cala il lavoro nero nel 2008, con 22mila unità irregolari in meno, per effetto anche della campagna di regolarizzazione dei lavoratori stranieri, soprattutto nel settore edile. Nel 2008 in Italia i lavoratori in nero sono stimati in 2 milioni 943 mila, l’11,8% del totale. I settori di maggiore diffusione sono l’agricoltura e i servizi.
Nel 2008 al Sud è irregolare 1 lavoratore su 5, pari in valori assoluti a 1 milione 300mila persone, con tassi di irregolarità del 12,8% nell’industria e del 19% nelle costruzioni.
A livello territoriale la regione più “nera” è la Calabria, con il 26% di manodopera irregolare, che sale a quasi il 50% in agricoltura e al 40% nelle costruzioni. A seguire, la Basilicata (20,3%), Sicilia (19,8%), Sardegna (19,5%) e Puglia (17,4%).
Il più alto numero di lavoratori in nero in valori assoluti spetta alla Campania (329mila persone), che dal 2000 ha però perso il 19,4% (79mila unità).

IN DIECI ANNI 700MILA VIA DAL SUD, A PARTE I PENDOLARI
Caso unico in Europa, l’Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla con pensionati, stranieri o individui provenienti da altre regioni. I posti di lavoro del Mezzogiorno sono in numero assai inferiore a quello degli occupati. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio- alto a costituire la principale spinta all’emigrazione.
Tra il 1997 e il 2008 circa 700mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno.
Nel 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122mila residenti a favore delle regioni del Centro-Nord a fronte di un rientro di circa 60 mila persone. Riguardo alla provenienza, oltre l’87% delle partenze ha origine in tre regioni: Campania, Puglia, Sicilia. L’emorragia più forte in Campania -25 mila, a seguire Puglia con -12,2 mila e Sicilia -11,6 mila unità.
Nel 2008 sono 173.000 gli occupati residenti nel Mezzogiorno ma con un posto di lavoro al Centro-Nord o all’estero, 23 mila in più del 2007 (+15,3%). Sono i pendolari di lungo raggio, cittadini a termine che rientrano a casa nel week end o un paio di volte al mese. Giovani e con un livello di studio medio-alto: l’80% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato. Il 24% è laureato. Non lasciano la residenza generalmente perché non lo giustificherebbe né il costo della vita nelle aree urbane né un contratto di lavoro a tempo.
Le regioni che attraggono maggiormente i pendolari sono Lombardia, Emilia-Romagna e Lazio. Una curiosità: la crisi ha colpito anche i pendolari meridionali. Se infatti il movimento Sud-Nord è cresciuto nei primi sei mesi del 2008, con l’aggravarsi del quadro economico 20mila persone sono rientrate al Sud, soprattutto donne. Sono cresciuti i giovani meridionali trasferitisi al Centro-Nord che si sono laureati lì e lì lavorano, mentre sono calati i laureati negli atenei meridionali in partenza dopo la laurea in cerca di lavoro.
In vistosa crescita le partenze dei laureati “eccellenti”: nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tre anni più tardi la percentuale è balzata a quasi il 38%.
La mobilità geografica Sud-Nord permette una mobilità sociale. I laureati meridionali che si spostano dopo la laurea al Centro-Nord vanno incontro a contratti meno stabili rispetto a chi rimane, ma a uno stipendio più alto. Il 50% dei giovani immobili al Sud non arriva a 1000 euro al mese, mentre il 63% di chi è partito dopo la laurea guadagna tra 1000 e 1500 euro e oltre il 16% più di 1500 euro.

BANCHE, PIU’ DIFFICILE L’ACCESSO AL CREDITO PER LE AZIENDE
Tra il 1990 e il 2001 il numero di banche presenti nell’area si è ridotto del 46% contro il 20% del Centro-Nord.
Resta forte la dipendenza del sistema bancario meridionale dal Centro-Nord. Resta il grande problema dell’accesso al credito: al Sud dal 2004 al 2006 il 9,3% delle imprese ha lamentato difficoltà, contro il 3,8% del Nord.
Dal 2007 al 2008 inoltre il tasso di crescita annua dei prestiti alle imprese è crollato al Sud dal 14,9% al 7,9% contro il calo più contenuto a livello nazionale (da 12,4% a 10,2%).

CONTINUA IL CALO DELLA SPESA PUBBLICA AL SUD
La spesa pubblica pro capite nel Mezzogiorno è stata nel 2008 pari a 10.490 euro, inferiore rispetto ai 12.300 euro pro capite del Centro Nord. Per di più, nel Mezzogiorno, c’è una tendenza all’incremento delle spese correnti che invece si riducono nel Centro Nord e a una diminuzione di quelle per investimenti, che invece aumentano in misura doppia nelle zone più sviluppate del Paese. Ha inciso su tale riduzione il ridimensionamento dei trasferimenti di capitale per agevolazioni alle imprese, che non è stato sostituito, come nei programmi, da un maggior impegno per la dotazione di infrastrutture.

STRADE, FERROVIE, PORTI, AEROPORTI, ACQUA, RIFIUTI
Fra tutte le regioni del Sud le autostrade a tre corsie sono presenti solo in Campania e in misura minore in Abruzzo, mentre la Sardegna è tuttora priva di autostrade.
L’offerta di servizi ferroviari è particolarmente modesta al Sud.
La maggior parte dei porti è di piccola dimensione e orientata al transito passeggeri. Il livello degli aeroporti nelle regioni meridionali (per numero di strutture, piste e dimensioni) è accettabile, pur mancando scali in Molise e Basilicata. A livello nazionale circa 1/3 dell’acqua immessa in acquedotto viene dispersa. Nel Mezzogiorno la situazione si fa ancora più critica, con il 37% dell’acqua sprecata. In testa alla poco invidiabile classifica la Puglia, con oltre il 46% di dispersione, praticamente su 308 metri cubi d’acqua pro capite (dati 2005) immessi nelle tubature solo 165 arrivano a destinazione, in Sardegna su 385 ne arrivano 219, in Abruzzo 415 su 245.
Rifiuti – In dieci anni, dal 1997 al 2008 la produzione di rifiuti urbani è cresciuta nelle regioni meridionali di 1,5 milioni di tonnellate, raggiungendo quota 10,6. A produrre più rifiuti Calabria (+35%, media nazionale +22%), Abruzzo e Puglia (+27%). Nel 2007 ogni cittadino del Sud ha prodotto in media 508 kg di rifiuti (Sicilia 536, Molise 414).
Differenziata – A fronte di una media nazionale del 27,5% (con il Nord a 42,4%), il Sud resta lontano anni luce, fermo all’11,6%. Ma il problema vero sono i costi, dovuti a una cattiva gestione del ciclo: la raccolta e il trasporto dell’indifferenziato costa al Sud 80 euro a tonnellata contro i 65 del Centro-Nord. Il trattamento e smaltimento spazia dai 45 euro a tonnellata della Calabria ai 99 della Campania.Situazione ancora peggiore per la differenziata: al Centro-Nord, dove si recuperano maggiori quantità di materiali, il costo medio è di 124 euro a tonnellata, al Sud poco meno del doppio, 220 euro.



COFIDI, CHE FAVOLA...






QUANDO CI PRENDONO LE IMMAGINI D'UNA REALTA' INCONSISTENTE.