sabato 4 dicembre 2010

I SI DICE

I Si Dice: Per me la politica è finita da quando non ha più soldi.

In tanti parlano al telefonino con un’intensità di voce così alta che tutto ciò che dicono (urlano) è udito anche da chi non è interessato ai loro fatti. Ciò accade in treno, in biblioteca, in ascensore, anche per strada. La circostanza, molte volte, dà fastidio. In qualche caso è invece motivo di riflessione. Non so: sull’irritazione di chi parla, sul modo errato di relazionarsi telefonicamente con un genitore, con la moglie, con un figlio. Sulla pretestuosità, sull’illogicità, sull’iniquità di chi, sconsideratamente, rovescia cumuli di parole in uno strumento che serve per comunicare e non per litigare a distanza.
E’ domenica mattina, le strade di Foggia sono ancora spopolate. Un tizio esce dal portone di casa ‘urlando’ nel telefonino, in dialetto foggiano: “Che me ne frega. Per me la Politica è finita quando ha finito i soldi. Io non vengo ad ascoltare nessun politico, se non ne ricavo niente”. Costretto a ‘ricevere’, mi scappa qualche considerazione sul modo in cui alcuni considerano la Politica. E’ evidente che tanti cittadini, non percepiscono da essa l’idea di partecipazione e di condivisione al sistema democratico con cui la società, nazionale o locale, orienta la crescita del benessere comune. La Politica è ritenuta mercimonio, ricompensa, strumento per un guadagno personale. Chi pensa che un politico, per crearsi consenso, debba pagare finanche chi prende parte a un’adunanza, certamente è convinto che la politica si muova soltanto per denaro, giacché essa è una macchina che muove interessi e soldi, dei quali è giusto accaparrarsene una fetta. Questo modo di pensare la politica è certamente il riflesso di un malcostume, generato dalla stessa politica, a partire da un passato non certo recente, ma, neppure perduto. Qui, a Foggia, negli anni 60, durante il periodo delle elezioni, arrivavano da Roma, via Bari, dalle direzioni politiche della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano, alle direzioni locali di partito, ‘valigioni’ pieni di denaro. A quei soldi miravano i tanti galoppini al servizio dei partiti politici. Essi, in proporzione con i numeri delle liste di elettori che sostenevano di poter gestire, ‘intascavano’ una somma di denaro, che doveva servire a comprare voti, a pagare parroci e preti, monaci e monache; a tenere pranzi; a distribuire ‘buoni di benzina’. Insomma, soldi in cambio di voti. Chi sa della condizione economica del popolo italiano, non solo foggiano, a quei tempi, si rende altresì conto che, intascare qualche biglietto da diecimila lire, non lasciava indifferenti e faceva gola a tanti. Da allora, sino ai tempi d’oggi, questo malcostume è continuato. Il voto è ancora in vendita. E’ cambiata la contropartita. Perché coloro che mercanteggiano i voti elettorali, sono intanto diventati gente meno sempliciotta, che negozia diversamente. Certamente sono più affaristi ed anche il prezzo della merce trattata è salito. Così a una parte di moneta contante, s’è aggiunta la proposta di ottenere dagli eligendi dei favori, delle raccomandazioni.
Per questo, siamo convinti che una Politica che fa ‘correre’ pochi soldi, oggi, venga considerata dai soggetti politicanti una iattura: perché il loro mandato scorre, si consuma, senza produrre totalmente il denaro necessario per pagare i voti occorrenti all’elezione. Che ciò accada mentre l’intero Paese è ‘sotto’ crisi economica, dovrebbe fare riflettere. Vale a dire che a una politica con meno soldi dovrebbe corrispondere una minore tentazione di procurarsi guadagni ingiusti. Macché. Il cittadino se ne frega. Anzi, per il fatto che scarseggia l’equa moneta, egli avverte ancora di più il bisogno di euro. Poi, gli euro che paga la Politica, hanno uso e consuetudine vecchi, forse sono ritenuti anche consacrati. E i politici? La Politica? Quello di questi signori è un pensare(?) a parte, cioè particolare, in quanto devono pensare in linea con i desideri del popolo. Il nostro Stato ha un debito pubblico enorme? Il nostro Comune è subissato dai debiti? Per una tale calamità è indispensabile risanare i conti; è essenziale una sana e trasparente amministrazione. Nulla di incomprensibile questo. Normalmente basterebbe l’opera, forse gratuita, di un ragioniere sensato, per mantenere in equilibrio contabile le entrate con le uscite. Ma non in politica, come ha dichiarato, giorni or sono, un ex sindaco di Foggia. “Come facciamo noi politici a dire ‘non possumus’ (non possiamo!!!) ai cittadini bisognosi di un alloggio, di un impiego?” Non poteva. Anche se il Comune da lui amministrato era pieno di debiti impagabili, al punto che egli stesso dichiara che all’epoca: “Il Comune era un cattivo pagatore”. Così cattivo pagatore, che ogni cosa acquistata veniva a costargli (...gli=a noi cittadini) tanto di più. E lui, il sindaco buono, elargiva impieghi, posti di lavoro, che quel suo Comune non era in grado poi di pagare. E bravo il Sindaco “possumus”. Forse per questa logica scriteriata, mentre lo Stato Italiano è sotto controllo della Banca UE, per i conti in passivo, mentre il Ministro delle Finanze è attento a non aumentarli, ascoltiamo, ogni giorno, esemplari politici che, irresponsabilmente, in un’opposizione nauseante, chiedono per la popolazione: il taglio delle tasse, l’aumento dei posti di lavoro, previdenze per i disoccupati, la fine del lavoro precario, il diritto agli studi universitari a costo zero, abitazioni, matrimoni, famiglie figli e ... prosperità per tutti. Come dice la nostra Costituzione, rimarcano con aria ebete, sorridendo. Fosse questo nostro Stato nelle condizioni di offrire tutto questo a tutti noi. Invece c’è quella debitoria pesante, da decenni, che aumenta ogni anno il suo totale passivo. Una situazione forse legata ai tanti, troppi possumus, di politici, che da decenni stanno in Parlamento o al Senato, incassando senza merito appannaggi e agevolazioni, costosissimi, a prescindere dalla loro capacità di produrre se non condizioni di guadagno per il popolo che li elesse almeno la possibilità che i conti dello Stato non si aggravino. Invece costoro chiedono di aumentare il loro potere di partito e quello personale, senza nemmeno spiegare i programmi, i costi, l’esistenza di risorse economiche, tali da consentire in favore del popolo italiano: il taglio delle tasse, l’aumento dei posti di lavoro, previdenze per i disoccupati, la fine del lavoro precario, il diritto agli studi universitari a costo zero, abitazioni, matrimoni, famiglie figli e ... prosperità per tutti. A voler essere cattivi e cinici, bisognerebbe consentire loro di governare. Per poi seguire, giorno dopo giorno, il loro governo, contando al pallottoliere le loro realizzazioni. E laddove le loro restassero solo chiacchiere amare, per noi populisti incitaddinati, se la meriterebbero del tutto la Rivoluzione: di un sacco di schiaffi e di tanti calci nel culo. gma