mercoledì 5 gennaio 2011

Va’ Pensiero.

Va’ Pensiero.

A questo nuovo anno, il 2011, manca una ventata intellettualistica. Che giunga come tempesta, che col pensiero d’una libera democrazia, spazzi via, lungo l’Italia intera, la banalità, la faciloneria, d’una società inerte, se non schiava. Come è avvenuto nei secoli scorsi, dove essi rivoltarono situazioni simili, i moti dell’intelletto giungono inarrestabili, nonostante le migliaia di chilometri di distanza, il filo spinato, la minaccia di morte delle armi. Valicano gli ostacoli naturali e le tirannidi umane, per animare lo spirito dei giovani, col sentimento inconfondibile e unico della libertà, della comunione democratica. Che ritorni in questa nazione, il canto alla libertà universale, come quello del “Va’ pensiero”, del nostro Giuseppe Verdi. Un inno alla società italiana, affinché essa si liberi dalla schiavitù in cui si consuma con timore, oramai inerte, nello stato confuso d’una cittadinanza oramai succube. Si tratta d’un rimpianto, inattuabile nei tempi presenti? Eppure non ci riferiamo al pensiero dell’individuo trasognato, oppure a quello di menti mitomani. Pensiamo al valore significato, vale a dire al principio che discenda dalla conoscenza pratica dell’uomo pensante, a quello che è comunemente condiviso dalla popolazione, su come deve funzionare la società civile. Perché ci sembra che il sistema della nostra civiltà sia di nuovo schiavo di una politica inetta e per questo prepotente. Abusando di termini dal significato esteso eppure non travisabile, come quelli di ‘cultura liberale’, di ‘governo liberale’, l’attuale pratica del governo di questa Italia, è riuscita anche a divorarsi quella dicotomia in uso nella scorsa società, lungo la quale oscillava e s’estendeva la critica separatrice di concetti in antitesi. Una pratica questa discutibile, quando essa venne usata soltanto per dare luogo ad opposizioni in sterile contrasto. Tuttavia apparvero definiti come mai i valori della nostra vita, da quella spirituale sino a quella sociale ed anzi politica.

Dopo che l’utilitarismo globale ha bandito confronti ed analisi concettuali, etichettandoli come inutili perdite di tempo, è venuta l’epoca dell’inesperienza, dell’inettitudine, sia culturale, sia politica. Non è detto che ciò sia dipeso dal sistema politico bipolare, adottato in Italia, dopo la rinuncia del nostro popolo alla sì detta prima repubblica italiana. Anche se, proprio in questo tempo politico, abbiamo visto i partiti rinunciare ripetutamente alle identità che li connotavano come parte della politica di questo paese, al fine di sottrarsi a quella dicotomia caratterizzante di cui dicemmo, al fine di rientrare nel concetto politicamente esteso di una nuova repubblica liberale. In verità quanto il sistema politico italiano ha sviluppato nell’ultimo quindicennio, non è stato maturato da una nuova condizione della politica italiana, tanto meno dalla recente esigenza dello sviluppo specifico della popolazione italiana. Il mercato globale, l’avvento della globalizzazione, col posizionarsi di ogni politica nazionale nella partecipazione all’interesse generale e all’economia predominante del mercato mondiale, ha segnato l’avvento di una politica che, falsamente e strumentalmente, s’è proclamata di tipo liberale. Insomma, in una maniera molto comunicativa e poco dotta, la politica insediatasi in Italia dopo la prima repubblica, questa volta palesemente espressiva del potere elitario, ha compiuto in danno del popolo italiano l’ennesima truffa politica. Per occultare le sue ultime ambizioni utilitaristiche, di lobby, di partito e personali, s’è data una facciata, quella della politica liberale, del progresso nazionale allineato con le nazioni estere più avanzate. Ciò anche se nel nostro paese, sino dai tempi del costituirsi in Stato, un retroterra culturale davvero liberale non c’è stato. Anche la famosa Destra storica, ossia il gruppo di politici e intellettuali liberali che raccolse l’eredità di Cavour, operò in un paese per tanti aspetti estraneo alla cultura e alle abitudini di vita della società liberale.
Giustamente l’arguto giornalista Marcello Veneziani dice che è stanco di sentir ripetere da anni, sia dalla politica di destra sia da quella di sinistra, che vogliono attuare in Italia una moderna politica liberale. “Il centro-destra parla di cultura liberale, l’opposizione invoca l’avvento di una destra liberale, molta sinistra e i radicali si definiscono liberali, i giornali non ne parliamo; sono tutti sulla linea liberale. Sembra che l’unica cultura ammessa a parlare, l’unica cultura davvero moderna, positiva e moderata, sia quella liberale. Poi vedi la realtà e ti accorgi che di liberale c’è poco e nulla.” Vale a dire che se oggi facciamo un’analisi verace e non militante del quadro politico, troviamo poco o nulla di realmente liberale: troviamo residui di ideologie comuniste e socialiste, cattoliche e fasciste, rinnegate nei principi ma non nei metodi.

E anche le nuove culture, i nuovi partiti, hanno poco di liberale. Ma i politici italiani, veri animali caparbi, continuano a dire di cultura liberale, di politica culturale liberale. Il termine ‘liberale’ è diventato un’aggettivazione tanto diffusa ed altrettanto vuota di significato, per questa politica, che dovrebbe governarci ed invece s’è persa in una falsa dialettica. Liberale? Certo è il termine che meno santifica la politica attuale presso il popolo italiota, cattolico-dipendente, sempre legato ad un calendario che ha per ogni giorno anche più santi, dove certo non troverebbero annotazione i miracoli d’una politica liberale, di questo o quel partito. Grazie al cielo, o ai santi, il popolo italiota, a causa di quello spazio critico che sta tra una sponda e l’altra, s’è rotto persino dei santi, figurarsi con questi manovali d’una politica cui non resta né identità di parte, né intelligenza di governo, liberale o meno che questa sia. Dopo 150 anni di repubblica, il popolo italiano pretende dalla politica, fatti onesti, capaci di sviluppare la vita comune della nazione, anche se in sincronia ed in progressione con l’economia e la finanza dei grandi gruppi di potere. Che ciò si chiami poi liberale, non sarà un problema. gma