mercoledì 19 agosto 2009

GOOD MORNING FOGGIA -mercoledì 19 agosto 2009

Foggia T min T max Vento Prob. Precipitazione [%]
Mercoledi' 19 sole e caldo 20 35 ENE 13 km/h

5%
Giovedi' 20 sole e caldo 20 35 NE 11 km/h

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Riflessioni.


LA POLITICA SI E’ INCARTATA.

I giovani dicono “s’è incartato”, per schernire chi si lancia in un ragionamento sconsiderato, poi vi rimane ingarbugliato, non riesce a concluderlo attraverso argomentazioni chiarificatrici e logiche. La derisione sta nell’immagine che essi usano per semplificare la situazione. Paragonano quel cumulo d’idee scriteriate, buttate alla rinfusa, ad un viluppo di cose, confezionate in maniera grezza, imballate con carta rudimentale e grossolana. Insomma, quelle idee scriteriate diventano per similitudini la merce di poco valore, che in tempi passati (ma oggi l’incartare sta tornando in uso) veniva avvolta con la carta rimediata dalle cataste di giornali o riviste invenduti. “S’è incartato”. Cioè: s’è messo da solo nel cartoccio delle sue idee sconclusionate. L’immagine è divertente e s’adatta a meraviglia a quasi la totalità degli oratori politici attuali, quelli sconclusionati in ogni loro dire e fare, da fare dubitare persino che abbiano in qualche punto recondito la loro ragione. Sì che avrebbe da disegnarne di cartocci un bravo vignettista. Ogni giorno una serie di cartocci, ciascuno contenente il ‘politico’ patata, o quello alla frutta, o quello che sa di pesce. Per l’amor del cielo, tutti divertiti per come sono stati confezionati e rivestiti, perché l’importante in fine per questi politici è esserci per apparire, essersi piazzati comunque, anche in un cono di cartaccia. Qualcuno potrebbe finire nella carta di un conosciuto quotidiano, altri s’accontenterebbero di stare in una rivista gossippara, qualcuno farebbe bella figura in qualche giornale pornografico. Insomma ad ognuno il vestito più adatto. L’importante è che questo loro incartato trovi la destinazione finale appropriata: nel raccoglitore per carta dell’immondizia differenziata. gma


POLITICA E CONDIZIONE NATURALE DEL VIVERE URBANO.

C’è un modo di fare che stabilizza la popolazione di una città in una condizione di vita tranquilla,
dove le occupazioni ordinarie dei cittadini sono propense a produrre con spontaneità il benessere comune? Dove e come nascono: l’amore per la città in cui si vive; la soddisfazione d’abitare felicemente il proprio quartiere; la vocazione a frequentare con spontaneità luoghi e persone gradevoli, senza dover pazientare né tollerare situazioni moleste. Insomma, è possibile essere cittadino di un’urbanità che sia amabile e piacevole? Vale a dire, vivere a fior di pelle la felicità per l’essere parte di una civiltà operosa, pacifica e armoniosa, che forma il cittadino, gli consente di sviluppare amorevolmente il senso più naturale della vicinanza, dell’amicizia di gruppo, dell’appartenenza ad una comunità. Siamo certi che ciò è possibile. Anzi, riteniamo che questo stato di civiltà sia condizione naturale e spontanea del vivere urbano. Questo, a prescindere dall’educazione del singolo. A prescindere dal consueto, abusato ricorso alla cultura, alla scolarità, da propinare ai giovani come se esse fossero l’antidoto per controllare una loro deriva malevola, povera di capacità sociali. E’ anzi vero, che nei giovani sono genuini i principi della vita in comune, tra i quali risalta la predisposizione a socializzare, ad aiutarsi, a vivere con solidarietà spazi e risorse che sono utili all’aggregazione.

Forse è una certa pratica del governare che asseconda i ruoli naturali della società civile? Possiamo ipotizzarlo.

In pratica l’amministrazione della cosa pubblica determina l’ambiente ed influisce sulle condizioni del vivere in comune dei singoli cittadini. Come? Con i suoi progetti d’edificazione delle aree urbane pubbliche; con la realizzazione dei servizi che supportano la crescita della socialità.

E’ comunque certo che, in un habitat inadatto per soddisfare le esigenze elementari necessarie alla vita di gruppo, si consolidano i comportamenti dettati dall’ansia del singolo, il quale avverte che dovrà confrontarsi con i vicini di quartiere, per procurare a sé ed ai propri familiari i pochi beni disponibili, prima che essi s’esauriscano. Quante volte assistiamo, all’interno di un parco pubblico, alla ‘corsa’ per accaparrarsi una panchina e poi agli sguardi truci che vanno al ‘vincente’ di quell’ingenua competizione? Dunque, se all’interno di una comunità predomina la rivalità, pure per l’uso temporaneo di un banale bene in comune, come è pensabile che in essa sussistano la solidarietà e la convivenza pacifica? In un quartiere cittadino, dove le ordinarie diversità di classe sono esasperate dai servizi sociali in degrado, la convivenza è difficile, ne consegue che non c’è amore per il vicino di casa. Tutto, in ambienti tanto squilibrati, finisce col dipendere dal precario equilibrio della sopportazione dell’individuo, che sovente passa all’insana violenza per sovrastare il proprio vicinato. Ecco, quindi, che le azioni d’una politica coerente con le aspirazioni di sviluppo urbano d’una comunità sono determinanti per impiantare sani principi di convivenza.

Non vale contestare questo ragionamento con la retorica affermazione che la politica è poi la stessa società, quindi, che l’imperfetta gestione del bene comune è causata da una comunità manchevole di civiltà. La gestione dei beni della società è una funzione che la popolazione demanda a persone elette col voto di fiducia, le quali, non per questo, possono rinviare la responsabilità della loro inefficienza al popolo elettore. Tant’è che il giuramento con cui questi gestori della cosa pubblica accettano il mandato al quale sono stati eletti, richiama per intero la responsabilità di un fedele operato, vincolato a mantenere la linea dello sviluppo della società civile. Quella politica che non risulta migliorativa delle condizioni urbane della popolazione è certamente responsabile delle condizioni di squilibrio in cui essa è costretta a dibattersi. Una politica siffatta, degenerata e degenerante, non può pretendere dai cittadini un’obbedienza senza limiti, condizione questa che instaurerebbe un governato vessatorio e di potentato. Sicché la società civile deve ritenere che è suo fermo dovere sostituire tutti gli amministratori cittadini in carica, ‘ogni volta’ che le condizioni della vita urbana divergono da quelle che sono le matrici della civiltà corrente. Ciò a prescindere dall’avvio di discussioni sulle responsabilità della parte politica contestata. Tutti gli amministratori cittadini vengano dismessi dal popolo e tornino alle loro ordinarie occupazioni. Perché la funzione pubblica non appartiene al singolo, pure se eletto, né può essere solitaria espressione d’aspirazioni personali o d’invenzioni, tanto meno inutile esercizio d’incompetenza e d’arroganza. Il vivere in civiltà è fatto di valori assolutamente positivi, per cui la società non deve mai permettere che essi rallentino la loro tendenza a migliorarsi o che essi, addirittura, s’involgano e peggiorino la convivenza della popolazione. gma


CARO SINDACO DI FOGGIA.... Ti do uno stimolo.

E brava Antonietta Terraglia, per la lettera che ha inviato al sindaco di Foggia e che tanti cittadini foggiani avrebbero voluto scrivere, mantenendo le stesse osservazioni e forse un tanto di garbo in meno. Ma cosa ha poi questa lettera, di nuovo o di pregevole, per finire sulla carta stampata? Chi sa quanti sono coloro che scrivono al loro sindaco e le cui missive finiscono... Dove? Non lo sappiamo. Eppure sarebbe utile e informativo conoscerne i contenuti. Che ne dice Mongelli? Lei che si precisa tanto innovativo, potrebbe mettere al lavoro il suo ufficio stampa per rendere pubbliche le lettere che riceve dai concittadini. Ma torniamo ad Antonietta, una ragazza foggiana che da sette anni vive in Padania eppure conserva il legame per Foggia e l’orgoglio d’esservi nata. Al punto che ella considera sia tuttora qui la sua casa ed in occasione delle festività principali ritorna a Foggia. Non si creda ora, che la lettera ch’ella ha scritto al Sindaco sia la solita banale richiesta di raccomandazione. I suoi contenuti sono altri. Essi sono d’alto livello; sono pari all’acuto di un componimento lirico che, appunto, celebra l’amore per il luogo nativo, l’attaccamento alla gente che vi abita. Le parole scritte da Antonella potevano essere un grido di dolore e di conseguente rabbia, espressa doverosamente al primo cittadino di Foggia, a causa delle condizioni di degrado urbano e civico, che persistono nella nostra città da anni senza che esse trovino soluzione. Invece le sue, furono parole intelligenti, misurate, garbate, capaci d’essere intese da chiunque è persona intelligente, misurata, garbata. Ecco cosa scrive Antonietta Terraglia: “Gentile signor sindaco Mongelli. Ho lasciato Foggia sette anni fa, non per scelta, come tanti altri cittadini, ma non passa anno che non ci torni. Per me è sempre tornare a casa. Ma seppure io sia fatta con la terra di questi posti, non sono più cieca davanti a ciò che non va e continua a non andare anno dopo anno. Entrando in città dall’autostrada, sulla strada che porta al cimitero, posso riconoscere le buche che ho lasciato e ne trovo sempre di nuove, rattoppate certo, ma come biglietto da visita non è dei migliori. Sulla medesima strada cumuli d’immondizia ai lati e i cani randagi che sono il segno di una civiltà che la nostra cittadinanza continua a non avere. Nessuno si occupa del problema, nessuno se ne è mai occupato. Solo gente che li scansa, gli stessi che magari abbandoneranno il loro cane alle prossime ferie. E il traffico? Automobili in seconda e terza fila e nessuno, nessuno che faccia rispettare i divieti, le zone rimozione. I vigili passano ma non succede nulla. Non c’è una telecamera di sorveglianza ai semafori. Capisco che non bisogna vessare i cittadini, ma mi creda, certe volte qui sembra il far west. ... Parliamo anche di locali e bar che occupano il suolo pubblico senza lasciar spazio ai pedoni, che fanno baccano fino a tarda sera. Sono tutti autorizzati? E il verde? Poco e trattato male. ... Molto sono mancata, ma nulla è cambiato. E proprio sulla speranza di cambiamento che si fonda una lettera come tante, che forse racchiude solo una parte di ciò che non va visto con gli occhi di chi non ha l’assuefazione di tutti i giorni. ... L’impressione è che non abbiamo l’orgoglio di essere foggiani, non abbiamo l’orgoglio di considerare Foggia la nostra casa. Casa nostra è solo l’appartamento in cui viviamo, non la strada dove buttiamo l’immondizia, che occupiamo con le auto, do ve si urla. E non ci lamentiamo poi se ci tocca combattere quotidianamente con il luogo comune del meridionale senza regole, indisciplinato. Mi smentisca la prego, tornerò in dicembre. Cordiali saluti. Antonietta Terraglia” Se il sindaco Mongelli ti risponderà, dando discontinuità alla grezza ignoranza di qualche suo predecessore, vorremmo saperlo. Ma, cara Antonietta Terraglia, considera positivamente il fatto che molti cittadini foggiani sono stanchi di vivere lo stato di cose che in parte denunciasti. Si stanno muovendo e... tante cose e figuri non ci saranno più a Foggia.