giovedì 1 ottobre 2009

IERI ZEMANLANDIA -gio 1 ott 2009

Foggia T min T max Vento Prob. Precipitazione [%]
Giovedi' 1 poco nuvoloso 16 27 SSW 4 km/h

10%
Venerdi' 2 pioggia e schiarite 17 23 SSW 4 km/h
60%


Cinema e Calcio

CINEMA:

IL FOGGIA DEI MIRACOLI NEL DOCUMENTARIO 'ZEMANLANDIA' REALIZZATO DA GIUSEPPE SANSONNA– C’ERA UNA VOLTA ZDENEK ZEMAN.

Ieri, Zemanlandia
Le gesta di Zdenek in un documentario

Roma, 28 set. (Adnkronos/Cinematografo.it) - C'era una volta Zdenek Zeman. Insieme a lui, un'idea di calcio che - nei primi anni '90 - rivoluzionò il campionato italiano: era il Foggia dei miracoli, arrivato in serie A con un gruppo di giocatori reclutati nelle categorie inferiori per un tozzo di pane, destinati poco dopo a far tremare le compagini piu' titolate (e miliardarie) che si presentavano allo Stadio Zaccheria. Nasceva 'Zemanlandia', utopico mondo dove regnava il 4-3-3, ci si difendeva attaccando e poteva accadere che la squadra, pur perdendo, uscisse dal campo fra gli applausi: mondo che rivive oggi nel bel documentario di Giuseppe Sansonna, prodotto da ShowLab (domenica 11 ottobre in onda su ESPN Classic alle ore 22, poi a novembre presente al Festival del Cinema Indipendente di Foggia), che in 55' racconta attraverso immagini di repertorio (fornite da TeleFoggia) e incredibili aneddoti, il particolarissimo rapporto tra Zeman, tecnico praghes e arrivato nel '69 nel sud Italia, e Pasquale Casillo, imprenditore napoletano e vulcanico presidente del Foggia.
"Sono due personaggi cinematografici opposti - dice il giovane regista, da adolescente testimone di quella 'rappresentazione sacra' che era la domenica calcistica di Zemanlandia - m a uniti da qualcosa di intangibile, difficilmente spiegabile: uno col trench alla Humphrey Bogart e lo sguardo glaciale di Clint Eastwood, uomo che da' l'idea di aver capito qualcosa di profondo del senso della vita e di non vantarsene troppo, l'altro che sembra appena uscito da un film di Scorsese, insieme costruirono un miracolo che sarebbe stato difficile ripetere".
E nel documentario, intervallati dalle incredibili giocate dei vari calciatori: Signori, Baiano, Rambaudi, Shalimov e tanti altri (come il terzino sinistro Codispoti, gran corridore ma piedi poco fini al punto che Casillo gli infilava banconote da 100.000 lire nello scarpino per farlo crossare meglio...), Zeman e Don Pasquale, il re del grano, si ritrovano fianco a fianco, su un divano, a ricordare quei giorni, e sembra di rivedere le grandi coppie della gloriosa commedia all'italiana, uno taciturno (non a caso soprannominato "Il muto" da Peppino Pavone, all'epoca diesse della società e sempre al tavolo d a gioco con il boemo e i magazzinieri per il Tresette a perdere), l'altro incontenibile, debordante in ogni sua manifestazione, come quando scelse di ingaggiare il mister dopo aver visto perdere il suo Licata per 4 a 1, o quando scese negli spogliatoi per dare il premio partita ai giocatori e al tecnico sconfitti in casa per 1 a 0 dal Sorrento: "Avevano comunque combattuto fino alla fine, mi era piaciuto l'atteggiamento in campo".

Intervista al regista Giuseppe Sansonna sul documentario "Zemanlandia"

Che tecniche ha usato per la realizzazione del documentario "Zemanlandia"?
Giuseppe Sansonna:
Ho voluto raccontare una vicenda umana. Un’impresa che nasce da una forte sintonia. Volevo che queste dinamiche emergessero senza essere spiegate. Ho deciso di rinunciare all’intervista classica, frontale.
Una delle sequenze cardine del documentario vede Zeman e il clan storico del Foggia, immersi nel tressette. Volevo che raccontassero la loro vicenda in maniera fluida. Volevo che si dimenticassero della steadycam che gli girava intorno. Mi hanno preso alla lettera. Dopo mezz’ora erano totalmente immersi nella partita. Nessuno parlava del Foggia, pensavano solo a vincere e a scherzare tra di loro. Io ero preoccupato ed estasiato allo steso tempo. Erano quindici anni che non si ritrovavano a giocare insieme. Sembrava che si fossero lasciati il giorno prima. Poi gli aneddoti, pian piano, sono affiorati da soli. Per la prima volta, ho visto Zeman ridere di cuore, felice.
Pasquale Casillo, il presidente del Foggia zemaniano, è un altro dei protagonisti del documentario. Cosa ci puoi dire di lui?
Giuseppe Sansonna: Se Zeman ha la fissità gelida degli antieroi di Kaurismaki, Casillo sembra fuggito da un set di Martin Scorsese. I capelli foltissimi, nerolucidi con qualche riflesso grigio. La pelle scura, da vesuviano. Un sorriso largo, che ammalia e atterrisce. Un affabulatore incontenibile, con la voce roca e melodiosa. Ho scelto un salotto che mi ricordava il set dell’ultimo incontro tra Max e Noodles, in “C’era una volta in America”. Li ho fatti accomodare su di un enorme divano. Ho piazzato tre telecamere. Una per il totale, una che cogliesse il primo piano di Zeman, una sul primo piano di Casillo. Gli ho suggerito degli argomenti di cui parlare e li ho pregati di ignorarci.
Comincia il dialogo. Zeman siede perfettamente composto, come un levriero. Casillo all’opposto, deborda ovunque sul divano, strattonando Zeman. Il boemo lo guarda sardonico, sollevando impercettibilmente il sopracciglio. Congela le emorragie verbali di Casillo con frasi lapidarie. Ripercorrono la storia del proprio turbolento idillio. Come una vecchia coppia, hanno visioni diverse degli stessi eventi. Da qui l’effetto comico.
Perché un documentario proprio sul Foggia?
Giuseppe Sansonna: Negli anni di Zemanlandia, Foggia era la meta del mio pellegrinaggio domenicale. Partivo da Bari, la mia città. Ero certo che mi sarei divertito. Il piccolo Zaccheria diventava un catino incandescente. La partita si guardava in piedi, stipati come sardine, immersi in una folla impazzita. Prima della partita, l’epifania. Ms accesa e trench chiaro, Zeman sembrava volare leggero, sospeso sulla folla adorante. “Zemàn, Zemàn” gridava lo Zaccheria. Il boemo ritirava ritualmente le caramelle offerte dal solito tifoso e si accomodava in panchina. E lo spettacolo cominciava. I “peones” foggiani, come li chiamava Brera, correvano come pazzi. Il campo era vicinissimo alle tribune. Non c’era nemmeno la pista atletica ad arginare la folla assatanata. Baggio, Vialli, Gullit e gli altri semidei del calcio capivano subito di essere approdati all’inferno. Rimpiangevano il loro Walhalla nordico e la quiete rassicurante degli studi televisivi. C’erano venticinquemila persone, ma sembravano centomila. Rambaudi ricorda che, quando tutti saltavano, il campo tremava. “Quel terremoto ci esaltava: sapevamo che la folla era con noi. Agli avversari, invece, tremavano le gambe”
Chi altro incontriamo nel documentario?
Giuseppe Sansonna: I protagonisti della partita di tressette sono Franco Altamura, storico dirigente del Foggia. Fine psicologo dal cuore grande, ha creduto in Zeman da subito. Ha sempre mediato tra la vulcanicità casilliana e la dura freddezza zemaniana, smussando gli spigoli con arguzia. Inoltre, ha creduto in questo documentario dal primo momento, rivelandosi risolutivo in molte occasioni. Una sorta di mister Wolf pugliese, a cui voglio molto bene. Peppino Pavone, il direttore sportivo, è un autentico genio del calcio. Fondamentale nel fornire a Zeman tasselli preziosi per il suo gioco, scovati con cura certosina nelle serie minori. Irresistibile nel raccontare aneddoti da cui trapela l’atmosfera picaresca della Zemanlandia degli esordi.
Vincenzo Cangelosi, storico viceallenatore zemaniano, ha un viso antico, da scudiero medievale. Silenzioso come il suo Cavaliere. Lino Rabbaglietti e Dario Annecchino, rispettivamente massaggiatore e magazziniere, sono invece due veri goliardi, sempre protagonisti dell’atmosfera giocosa dei ritiri di Zemanlandia.
E i tifosi?
Giuseppe Sansonna: Emilio Cavelli e Leone Rossetti, ovvero il tifo come malattia inguaribile che scolpisce i volti e li trasforma in maschere. Gli occhi di Zeman si illuminano di divertito stupore, quando pensa che, da più di quarant’anni, i due si contendono lo scettro di più grande tifoso della storia del Foggia.

Zemanlandia, terra delle meraviglie

Il documentario, fatto da materiali di repertorio prelevati direttamente dalle tv private locali, ripercorre le vicende del Foggia allenata dal boemo, dando la parola ai protagonisti di allora e portando alla luce i retroscena di una vera zemanmania collettiva. Si può assistere all´intervista più lunga che l'allusivo Zdenek, un personaggio tanto carismatico quanto enigmatico, abbia mai rilasciato. Lontano dai clamori dei tempo il boemo rivive l´inizio della sua carriera e l´esaltante costruzione di una squadra di esordienti a dimensione familiare.Ci sono le testimonianze dei calciatori più rappresentativi di quella esperienza non solo sportiva anche umana, come Signori, Rambaudi e Di Biagio che ricordano con nostalgia i gradoni dello Zaccheria, gli allenamenti da marines consumati sul campo in terra battuta di un oratorio foggiano. Non mancano gli aneddoti che fanno emergere uno Zeman inedito, pur sempre con una sigaretta tra le labbra, tanto cordiale con il magazziniere quanto formale, nell'intervista a due, con l'allora presidente Pasquale Casillo. E' significativo che sia proprio un tecnico con "zero tituli", come oggi si direbbe, a restare nell'immaginario calcistico tanto che la stampa ha coniato un neologismo, appunto zemanlandia, per indicare una mentalità di gioco che diverte divertendosi. Adesso pochi adottano quel sistema, ma nei primi Novanta fu sostenuta l'idea di zona estrema, portata avanti da una squadra neopromossa, nonostante i gol incassati, oltre che segnati, a valanga. Nonostante la mancanza di happy end, la zona Uefa sfumata all’ultima giornata della stagione 1993/94, l’uscita di scena del presidente Casillo e la partenza di Zeman per la Capitale, il film avvince in quanto inno all'idea "tout court" del bel calcio, lontano dalle tensioni e pressioni che oggi lo attanagliano. Il documentario promosso dalla Provincia di Foggia, dall'assessorato allo Sport e al turismo sarà presentato, l’ultima settimana di novembre, all’interno del Festival del Cinema Indipendente di Foggia. Cesare Balbo


Zdeněk Zeman

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Zdeněk Zeman

ZEMAN, ZEMAN... FACCI SOGNAARE!




Dati biografici




Nome

Zdeněk Zeman

Nato

12 marzo 1947 Praga

Paese

Cecoslovacchia

Nazionalità

Repubblica Ceca

Passaporto

Italia

Altezza

{{{altezza}}} cm

Peso

{{{peso}}} kg

Dati agonistici

Disciplina

Calcio

Carriera da allenatore

1981-1983

Palermo

(Giovanili)

1983-1986

Licata


1986-1987

Foggia


1987-1988

Parma


1988-1989

Messina


1989-1994

Foggia


1994-1997

Lazio


1997-1999

Roma


1999-2000

Fenerbahçe


2000

Napoli


2001-2003

Salernitana


2003-2004

Avellino


2004-2005

Lecce


2006

Brescia


2006

Lecce


2008

StellaRossa



Zdeněk Zeman (Praga, 12 marzo 1947) è un allenatore di calcio ceco naturalizzato italiano.

Biografia

Zdeněk Zeman nasce a Praga il 12 maggio 1947. Il padre Karel era primario ospedaliero mentre la madre, Květuše Vycpálková, era una casalinga. Sarà lo zio materno Čestmír Vycpálek, ex allenatore della Juventus, a trasmettergli la passione per lo sport.

Nel 1968 il boemo si trasferisce a Palermo dallo zio Čestmír, ma proprio in questo periodo l'URSS invade la sua patria: decide allora di rimanere in Italia. Qui otterrà la cittadinanza italiana nel 1975, nonché la sua laurea (all'ISEF di Palermo con una tesi sulla medicina dello sport) con il massimo dei voti. In Sicilia conosce Chiara Perricone, sua futura moglie, che gli darà due figli, Karel, anch'egli divenuto allenatore, ed Andrea.

Carriera da allenatore

Gli esordi

Le sue prime esperienze come allenatore avvengono in squadre locali dilettantistiche (Cinisi, Bacigalupo, Carini, Misilmeri, Esacalza) per poi prendere il patentino di allenatore professionista a Coverciano nel 1979; grazie all'intercessione dello zio, riesce poi ad allenare le giovanili del Palermo fino al 1983.

Dopo delle ottime stagioni a Licata, con cui vince il campionato di serie C2, viene ingaggiato prima dal Foggia (C1) e poi dal Parma (B) dove in precampionato riuscirà a sconfiggere per 2-1 il Real Madrid per essere poi esonerato ai primi risultati incerti nel campionato di B, e tornerà in Sicilia alla guida del Messina dove avrà modo di lanciare in prima squadra un giovanissimo Salvatore Schillaci.

Il Foggia dei miracoli

Dopo una buona stagione tra le vie dello Stretto, viene ingaggiato nuovamente dal Foggia, neopromosso in serie B, alla cui presidenza c'è Pasquale Casillo che diventerà uno dei suoi massimi estimatori: lo difenderà anche quando la squadra si ritroverà agli ultimi posti della serie B. Nasce quindi, nel 1989, il "Foggia dei miracoli": la squadra, dopo una bellissima promozione in serie A, si salverà con tranquillità per ben tre stagioni nella massima serie (due 9° e un 12° posto). Sfiorerà anche l'ingresso in Coppa UEFA in una sorta di spareggio con il Napoli di Marcello Lippi nell'ultima giornata del campionato 1993-94, che segnerà anche l'addio del flemmatico coach alla panchina rossonera. Notevole la prima linea della stagione 1991-92, composta da Baiano, Signori e Rambaudi, tre mezze punte agili e veloci che mettono in crisi anche le difese più blasonate. Nella stagione 1992-93 decise, in accordo con la società, di smantellare completamente la squadra che tanto bene aveva fatto negli anni precedenti, rifondandola con calciatori sconosciuti e provenienti in buona parte della C1 e dalla C2. Tra lo stupore generale la squadra riuscì a salvarsi con anticipo, togliendosi anche la soddisfazione di sconfiggere la Juventus (2-1) allo Zaccheria. Quel campionato rappresenta forse la scommessa più avvincente della carriera del mister boemo. Grazie a quel Foggia fu coniato il termine "zemaniano" per sintetizzare il calcio-spettacolo giocato da una squadra di giovani.

Le esperienze romane

In poco tempo, quello che sembrava solo un integralista del calcio perché "fedelissimo" del 4-3-3 e del gioco offensivo e spumeggiante, diventa l'allenatore del momento: pare che anche il Real Madrid gli abbia fatto un'offerta per averlo, ma alla fine Zeman decide di approdare alla Lazio. Con i biancoazzurri ottiene un secondo e un terzo posto, per poi essere esonerato il 27 gennaio 1997 in seguito a prestazioni deludenti. Ma Zeman non rimane disoccupato a lungo: rifiutata una proposta dal Barcellona il presidente Franco Sensi gli offre, per la stagione successiva, la panchina della Roma e Zeman accetta volentieri di prendere per mano una squadra che durante la stagione precedente era arrivata a stento tredicesima in Serie A, salvandosi solo alla quartultima giornata battendo l'Atalanta. La rosa è di buona qualità (nella Roma giocano campioni di riferimento come Aldair, Cafù e Abel Balbo, oltre ai promettenti Damiano Tommasi e Francesco Totti affiancati da giocatori solidi come Luigi Di Biagio, Marco Delvecchio, Paulo Sergio e Eusebio Di Francesco), e i risultati della cura zemaniana per la ricostruzione della squadra si vedono: la stagione della Roma è caratterizzata da un gioco incisivo seppur incostante, che le permette di ottenere un ottimo quarto posto, senza però riuscir mai a tener testa a Juventus, Inter e Udinese. Nel Campionato 1998-99, ancora alla Roma, Zeman giunge quinto e non viene confermato per la stagione successiva e viene sostituito da Fabio Capello.

Dalla Turchia alla Campania

Dopo l'esperienza negativa con il Fenerbahçe di soli 3 mesi (1999), in cui conquista appena una vittoria, ritorna in Italia per allenare il Napoli appena promosso in serie A. Come sempre, Zeman non rinuncia al suo credo calcistico fondato sulla zona, sul pressing e sull'esasperazione del fuorigioco. I risultati sono deludenti: un solo punto conquistato in 8 partite. Emblematica la prima giornata: al San Paolo viene in visita la Juventus che vincerà, ribaltando il risultato, con un tiro a giro di Del Piero. Zeman torna in B sempre in Campania, prima con la Salernitana (un sesto posto e un esonero) e poi con l'Avellino (col quale sarà penultimo) e dove ritroverà il presidente Casillo e il direttore sportivo Peppino Pavone.

Nella stagione 2003/2004 Zeman guida l'Avellino, in Serie B, lanciando l'attaccante bielorusso Vitali Kutuzov. La squadra, però, retrocede in serie C1 e il boemo lascia la panchina campana.

Lo schema prediletto da Zeman: il 4-3-3.

La prima esperienza a Lecce

Nella stagione 2004/2005 Zeman torna in Serie A sulla panchina del Lecce, con il quale imposta un gioco offensivo e spumeggiante, ottenendo la salvezza e lanciando giocatori come Mirko Vučinić e Valeri Bojinov (ceduto a metà campionato). Al termine della stagione il rapporto contrattuale non è rinnovato, sebbene la maggior parte dei tifosi leccesi siano favorevoli alla permanenza del tecnico per la stagione successiva. Zeman conclude l'annata con il secondo migliore attacco del campionato, con un solo gol in meno della Juventus campione, anche se la difesa giallorossa risulta la più perforata del campionato italiano. Per la prima volta nella storia del campionato di Serie A la squadra con la peggior difesa non retrocede.

Parentesi bresciana e ritorno in Salento

Il 5 marzo 2006 Zeman assume la guida tecnica del Brescia, squadra di serie B, dichiarando di voler vincere le restanti 11 partite per portare la squadra a giocare i play-off per la promozione in serie A. Il boemo è chiamato a sostituire Rolando Maran, esonerato sorprendentemente dal presidente Corioni malgrado fosse reduce da una vittoria per 3-0 e nonostante la squadra si trovasse al 5° posto in classifica.

Il 21 giugno 2006 il Lecce ufficializza l'ingaggio di Zeman, che ritorna così sulla panchina dei giallorossi dopo un anno. Su indicazione di Zeman vengono acquisitati il difensore slovacco Martin Petras l'attaccante argentino Pablo Daniel Osvaldo e il centrocampista brasiliano Juliano per rinforzare la squadra, indebolita da partenze importanti come quella di Mirko Vučinić. Arriva anche il centrocampista ceco Ondrej Herzan. Sebbene inizi molto bene il campionato di Serie B 2006-2007, il Lecce di Zeman accusa quasi subito un grave e prolungato momento di crisi, in cui si registrano molte sconfitte. Dopo aver chiuso l'anno solare nella seconda metà della classifica e dopo 10 sconfitte in 18 partite di campionato la dirigenza salentina decide di esonerare il tecnico boemo alla vigilia di Natale, il 24 dicembre 2006, mentre si trova in vacanza a Praga. Al suo posto è ingaggiato Giuseppe Papadopulo, il quale conduce la squadra salentina ad una tranquilla salvezza.

Stella Rossa: l'ennesimo esonero

Il 17 giugno 2008 diventa allenatore della Stella Rossa, subentrando ad Aleksandar Jankovic. Nell'ultimo turno della Coppa Intertoto la Stella Rossa ha in sorte i ciprioti dell'Apoel Nicosia, superando i quali centrerebbe l'accesso alla Coppa UEFA. All'andata, a Nicosia, la Stella Rossa pareggia per 2-2, risultato deludente. Al ritorno, in svantaggio per 0-2 al 70° minuto, la Stella Rossa rimonta fino a guadagnare i tempi supplementari. Qui ottiene un rigore con cui si porta sul 3-2 e anche la superiorità numerica per l'espulsione di un giocatore cipriota. Ciononostante l'Apoel Nicosia riesce a segnare il gol decisivo per la propria qualificazione al 118° minuto. In campionato le cose non vanno meglio: dopo 3 giornate, la Stella Rossa, l'anno prima seconda e imbattuta, ottiene un solo punto senza segnare. La dirigenza decide quindi per l'allontanamento anticipato di Zeman dalla panchina il 7 settembre 2008.

Le accuse sul doping

Dopo un quarto posto in campionato, nel luglio del 1998 Zeman lancia la sua accusa violenta nei confronti del mondo del calcio: nasce l'ombra del doping.

Le polemiche si estesero all'intero mondo del calcio coinvolgendo lo stesso Zeman a cui si imputò l'aver fatto assumere per pochi giorni la creatina ai giocatori della Lazio nel periodo durante il quale ne era allenatore.

Dalle dichiarazioni di Zeman, in seguito alle indagini del pubblico ministero torinese Raffaele Guariniello, è iniziato un processo che ha visto coinvolti il dirigente della Juventus Antonio Giraudo ed il medico sociale Riccardo Agricola. Il processo si è chiuso nel marzo 2007 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato l'assoluzione, pronunciata in Appello, degli imputati Agricola e Giraudo dalle accuse legate al doping e che però ha annullato la sentenza di assoluzione, sempre pronunciata dalla Corte d'Appello, circa l'abuso di farmaci, in quanto i giudici dei due gradi precedenti non avevano tenuto conto di alcuni particolari, tanto che la Suprema Corte disse che sarebbe stato opportuno fare un nuovo processo basato solo sull'accusa di abuso di farmaci. Per quest'ultimo reato, però, i termini di prescrizione erano nel frattempo scaduti e non è stato quindi istruito un nuovo processo. Nel 2005, una sentenza del TAS di Losanna (il Tribunale Arbitrale Sportivo internazionale) scagionò la Juventus dalle accuse di doping, affermando che i medicinali presi in quegli anni erano leciti e, di conseguenza, non potevano essere revocati i trofei vinti dalla società piemontese in quel periodo.

Curiosità

Zeman ha ispirato il cantautore Antonello Venditti e gli scrittori Manlio Cancogni e Stefano Marsiglia, i quali gli hanno dedicato rispettivamente una canzone (La coscienza di Zeman) e due libri (Il mister e Zeman. L'ultimo ribelle). Nel 1995, edito da Mancosu Editore e scritto da Nicola Berardino e Pino Autunno, esce il libro "Zèman o Zemàn", che fa un ritratto dell' uomo e del personaggio boemo. Su iniziativa dei webmasters Paolo Cosenza e Cristiana Alessandra e con l'avallo di Zeman è stato creato il suo sito ufficiale molto seguito anche dagli addetti ai lavori del calcio.



La conferenza stampa di Mister Zeman alla presentazione del documentario Zemanlandia

La sua avventura è stata ribattezzata Zemanlandia. A lei questo nome piace? Piaceva?
“A me non disturba. Io penso che allenatore è il principale responsabile di quello che poi i giocatori fanno sul campo. Non sono attori, ma io mi sento responsabile. O nella vittoria o nella sconfitta sono sempre io che ho sbagliato o indovinato qualche cosa. Poi è normale che attori principali sono sempre i giocatori. Io ho avuto fortuna a Foggia di trovare in serie A due bei gruppi di giocatori. Il primo gruppo molto più tecnico, molto più calcistico, però il secondo gruppo più come voglia, come fame, come voglia di affermarsi, che è quello che conta di più. Se è vero che dalla prima squadra in Nazionale sono arrivati Signori, Baiano e anche Padalino, anche se in under 21, anche dalla seconda squadra Di Biagio è arrivato in Nazionale, Stroppa è arrivato in Nazionale e si è fatto apprezzare anche nel Milan, sono risultati positivi per i ragazzi per primi ma anche per me come allenatore, per la società, per la città.”
“Noi siamo arrivati in serie A che prima avevamo visto sempre in televisione, in quella squadra lì c’era solo Baiano che aveva già avuto esperienza di serie A. Era la squadra più giovane del campionato. A parte Rambaudi, tutti ragazzi del 1968, quindi tutti 22-23 enni. Il primo ritiro sono venuti a guardare esperti, giornalisti e tutti dicevano ‘questi faranno 10 punti in tutto il campionato, non è squadra adatta alla seire A’. La soddisfazione è che siamo riusciti a dimostrare che possiamo fare, possiamo giocare… e ce la siamo giocata sempre con tutti. La soddisfazione deve essere di tutti quelli che hanno partecipato.”

Gli anni dopo Foggia sono stati anni difficili. Ripartendo da quella famosa intervista a ‘L’Espresso’, se dovesse denunciare un altro tipo di ‘doping’ nel calcio di ora quale si sentirebbe di segnalare? “Nel ’98 era quello che mi sentivo di dire, a parte che era una risposta ad una domanda, oggi sono abbastanza lontano dal campo, nel senso che ho cambiato l’erba e mi sono messo sull’erba di golf, visto che quella del calcio mi è stata negata. Io vorrei fare un’altra come questo (riferito a Zemanlandia n.d.r.) però la vedo difficile.

Lei è cosciente che lo scudetto della Roma sia un po’ suo, che lei ha gettato il seme da cui è nato quel successo? “No, non me lo sento proprio. Nel senso che poi la squadra è cambiata tanto, la gestione è cambiata ed era completamente diversa. Io ero convinto che con la Roma mia si poteva fare molto meglio, purtroppo nel secondo anno ci hanno fatto pesare troppo le mie dichiarazioni.”
“Gli scudetti finanziari come li chiama il presidente (Casillo n.d.r.) sono perché si è lavorato bene, si è costruito qualche cosa di positivo, sennò non c’erano”

Rifarebbe le esperienze di Napoli o della Turchia solo per il gusto di allenare? O accetterebbe solo una panchina all’inizio della stagione con una società che gli potesse garantire di poter fare il suo calcio? “Bisogna vedere. Io mi sento allenatore di calcio. Io mi sono sempre divertito e mi voglio ancora divertire. Il discorso è se ci sono ancora condizioni nel calcio di oggi. Ma penso che condizioni uno poi se le crea da solo. Certamente io sono disponibile, perché per me il calcio è tanto, mi ha dato tanto, ho preso tanto. Mi è sempre piaciuto e continua a piacermi. Ripeto il calcio come dico io, ma calcio come dico io oggi è molto difficile.”

Quanto c’è del vecchio calcio danubiano e del calcio olandese nel suo gioco? “C’è tanto. Secondo da me è da lì che ho preso le mie convinzioni; è la miscela del vecchio calcio danubiano e nuovo calcio, a quei tempi, olandese. Mi sono ispirato a quello e ho cercato di fare qualche cosa, compresa la regola, detta da quel signore che era sicuramente tra i più bravi, che si difende solo verso avanti mai verso dietro ed io ho cercato di farla mia e di farla applicare alle mie squadre”.

Perché Zeman non allena più? “Quello bisogna chiederlo alle società, ai presidenti…penso che sono scomodo.”
“Magari il nostro capo allenatore dichiara che ormai allenatori non servono più per tecnico-tattico ma devono essere gestori ed io mi sento ancora un tecnico-tattico.”

Zeman non ha mai vinto scudetto o coppe. “Nei migliori anni miei, dove c’erano le possibilità e si poteva fare, gli scudetti erano già assegnati prima come dimostra la storia”

Cambierebbe qualcosa del suo modo di allenare? No perché penso ancora che quello che vorrei vedere è la cosa migliore, cosa che non si vede oggi sui campi di calcio e penso che si può fare meglio”

La serie C la faresti? “Non rispondo….”

Prima dell’arrivo di Spalletta alla Roma si era parlato di lei alla Roma. Che è successo? “….Rispondo. Io ho parlato con direttore sportivo e con la presidentessa e sembrava che c’erano le possibilità…poi non c’erano più.”

Come mai? “C’è scritto in qualche libro rosso…Nel libro rosso c’è scritto specificatamente”

C’è lo spazio per il gioco di Zeman? C’è la possibilità di fare parte del grande calcio per lei? “Non so se c’è la possibilità. Io mi sento ancora abbastanza bravo. Discorso se si può fare ancora calcio…Io penso che è più di 100 anni che si gioca a calcio. Il pallone è sempre rotondo, il campo ha le stesse dimensioni, per me conta sempre quello che succede sopra, poi il fuori ed i contorni sono cose diverse. Per me conta il sopra”
“Esperienza di Foggia ancora oggi sul campo si può fare, poi il problema è che fuori ci sono altre cose, altre esigenze. Quando abbiamo cominciato ancora non c’erano le partite a Sky…”

Chi può essere il suo erede? Che pensa dell’esperienza di suo figlio a Maglie come allenatore? “Eredi non ne ho, non ne voglio. Ho la mia famiglia che erediterà le mie cose…Io auguro a tanti ragazzi giovani che vogliono bene al calcio, che hanno la voglia di lavorare… Se mi dicono che faccio calcio per lavoro io ci rimango male. Io ci ho guadagnato ma per me non era lavoro. Era sentimento, passione e tante altre cose. Su mio figlio…mi auguro.. sono contento che lo fa. Lui ha preso da me la voglia, mi ha seguito da quando aveva 2 anni su tutti i campi, ha visto quasi tutte le mie partite, e ne ho fatte più di 800 da professionista. Spero che ha imparato qualche cosa. Ma io spero che ha la passione per calcio e spero che ci rimane, che si diverta e anche lui nel suo piccolo ora fa divertire.”

Cosa pensa della frase di Ranieri appena arrivato alla Roma ‘scordatevi il bel gioco’? Cosa pensa di Mourinho? E’ un grande allenatore potenziato dall’essere un grande comunicatore o un grande comunicatore che nasconde l’essere un mediocre allenatore? “La seconda è un’affermazione….posso o non posso essere d’accordo. Su per giù è così ma io penso che oggi calcio è basato su queste cose. Sul discorso di Ranieri certo come allenatore mi fa piangere il cuore. Io voglio andare allo stadio, mi voglio divertire, voglio vedere qualche cosa. Oggi si dice che è il risultato che conta più di tutte le cose, io ripeto che per me conta molto di più che la gente dopo la partita se ne va a casa contenta perché ha visto qualche cosa di bello. Il discorso è che oggi il calcio si fa e non si pensa alla gente. Ci sono altri interessi, la gente non conta niente, non si deve divertire, forse è anche meglio che non viene allo stadio tanto incassi in una gestione contano poco o niente e poi se la fanno tra di loro… Io sono contrario. Io vorrei campi da duecentomila persone che vengono, si divertono e se ne vanno…
Su Mourinho… in un anno, in questo spazio, non ha fatto vedere come allenatore una squadra che ha dei concetti e che gioca a qualche cosa che si capisce, ha dei grandi giocatori. La sua bravura, per questo è venuto qui è che sa gestire…sa gestire soprattutto i giornalisti.”
“Discorso di Barcellona. Io penso che Barcellona è una squadra che fa divertire e che si diverte. Bisogna cercare di avvicinarsi. Gli altri fanno calcio diverso ed io spero che anche loro cambieranno. Quello è calcio vero! Il discorso è che quando allenavo a Foggia mi dicevano ‘433 è superato, non si può giocare più’… Barcellona gioca diverso, sì….”

Il periodo con la Lazio? “Bilancio positivo. Ho raggiunto risultati che non ho raggiunto in nessun’altra piazza, visto che siamo arrivati un anno secondi ed un anno terzi.Secondo e terzo non ci sono arrivato mai quindi un risultato positivo. Ottima squadra Non poteva giocare per lo scudetto per le sistemazioni diverse del campionato. Una squadra che ha fatto 4 a 0 con il Milan e 4 a 0 con la Juventus era una buona squadra. Problema forse è che erano pochi, se saltavano 1 o 2 giocatori per infortunio o squalifica era difficile sostituirli con giocatori all’altezza. Però io mi sono divertito tanto e penso che anche i laziali in quel periodo si sono divertiti, anche giocatori hanno imparato tanto. Di quella squadra 6 giocatori, compreso Rambaudi, sono andati in Nazionale ed è la riconoscenza del lavoro che hanno fatto”
“Io credo nel calcio, credo nel gioco e credo nelle persone che vogliono fare, che amano il calcio. E’ tutta questione di passione, penso che uno con la passione se vuole fare fa. Problema oggi è affermarsi, fare quello che uno vuole fare. Io spero che la vincano quelli che ci credono.”

Su Ferrara e Leonardo? Lei è partito dalla gavetta… “Sono scelte. Poi anche lì dipende da persona a persona. Io ho fatto gavetta. Sono passato da pulcini ad esordienti, giovanissimi ed allievi. Lì ho potuto provare le cose che mi servivano per migliorarmi, per capire che cosa è giusto cosa non è giusto da fare per una squadra. Mi sono serviti…gli altri non hanno bisogno secondo me perché sanno già tutto prima…”

Il calciatore più forte che ha avuto? “Come calciatori sono stato fortunato perché ne ho avuti tanti bravissimi. Poi discorso che secondo me fuoriclasse è Totti, era Totti.”
Rambaudi? “Rambaudi era giocatore tattico. Dice lui perché ci conviene. Perché aveva meno coraggio di andare dentro l’area di rigore. ‘Non c’ho coraggio, sto un po’ dietro…’”
“Ho avuto tanti bravissimi giocatori che per me erano campioni, però come Totti come calciatore per me ce ne sono pochi. In Italia sono nati tre fuoriclasse: uno è Rivera , uno è Baggio e uno è Totti. Per me… poi uno lo vede diversa ed è anche giusto.”

Il giocatore che non ha allenato e che avrebbe avuto il piacere di allenare? “Maradona”

Zeman ha mai pensato di scrivere in un libro la sua verità? “La mia verità è la verità di tutti. Io non ho voglia di scrivere… anche se ho promesso che scriverò qualcosa, però sul calcio non su chiacchiere o altre cose. Se ci riesco voglio scrivere un libro che possano usare i giovani allenatori che hanno voglia di fare qualche cosa….”