martedì 4 agosto 2009

GOOD MORNING FOGGIA -martedì 4 agosto 2009

Foggia T min T max Vento Prob. Precipitazione [%]
Martedi' 4 pioggia 20 32 W 4 km/h
70%
Mercoledi' 5 sereno 19 29 NNW 16 km/h

5%


PRIGIONIERI DI UN SISTEMA FALLIMENTARE CHE NON CONSENTE SALVEZZA.
I Carcerati.

In queste giornate di calura insopportabile, che surriscalda tetti e cementificazioni, si torna a parlare di carceri affollate, di carcerati che si tolgono la vita o che, quasi ogni giorno, aggrediscono i loro sorveglianti. Questo perché le case circondariali (le carceri), le celle, racchiudono più detenuti del numero previsto e tutti coloro che, per lavoro o per costrizione, ‘abitano’ questi gironi infernali vanno fuori dai nervi. Per cui la società torna a discutere di giustizia, di pena, di repressione, anche d’alleggerire il numero dei detenuti. E torna il dubbio che quella giustizia chiamata in causa da fatti che sono già il risultato negativo di una previsione sbagliata, diventi l’ulteriore previsione di una giustizia sbagliata o comunque l’incauto strumento di un sistema ingiusto, che non ha mai funzionato come doveva. Immaginiamo il ritorno d’ampollose oratorie intorno all’educazione in carcere, agli intenti positivi della pena e della sua espiazione, all’inevitabile responsabilità che la giustizia conclama. E perché non prevedere i toni aspri che verranno fuori dal probabile risveglio del giustizialismo? Mentre i fatti sono altri e d’essi non si discute. Le carceri del nostro Paese sono insufficienti per contenere tutti i reclusi, di conseguenza esse non ottemperano più nemmeno alle norme basilari o ai principi direttivi dell’ordinamento penitenziario. Scorriamone per intero l’articolo 1:
Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.
... Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili ai fini giudiziari. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. ..."

Le dimensioni attuali del sovraffollamento all’interno delle carceri, in aumento costante, mentre i posti disponibili rimangono gli stessi, in effetti, determina contro il detenuto insieme alla privazione della libertà, una pena accessoria non prescritta da alcuna legge, ossia quella di vivere in condizioni disagiate. In tali condizioni peggiora anche il lavoro della polizia penitenziaria. Tale emergenza è aggravata dal fatto che molti penitenziari risalgono a qualche secolo fa, si tratta di strutture fatiscenti, si tratta di costruzioni che cadono a pezzi.

Riportiamo alcune note dei sindacati di Polizia Penitenziaria e due lettere di detenuti nella casa circondariale di Foggia, (estratte da articoli del quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”) per meglio documentare la reale situazione d’insostenibilità che s’è creata all’interno dei penitenziari.

la gazzetta del mezzogiorno/Emergenza carceri, Sappe.

“Non si può resistere ancora a lungo. Basta, basta, basta!”. È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria Sappe. “Le aggressioni ai poliziotti penitenziari hanno ormai cadenza quotidiana: nell’ultima settimana episodi analoghi sono avvenuti nei penitenziari di Lecce, Prato, Salerno, Milano. Bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza a danno dei rappresentati dello Stato in carcere e punire con pene esemplari chi li commette: penso a un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli agenti – propone Capace - e a un altrettanto maggiore ricorso agli strumenti di coercizione per i ristretti più aggressivi e violenti, come, ad esempio, avviene negli Stati Uniti”.

“Di fronte a queste preoccupanti aggressioni, sintomo di una tensione sempre più crescente nelle carceri – continua il segretario generale del Sappe -, si è deciso di convocare il 6 agosto una riunione con i sindacati della Polizia penitenziaria per parlare di come gestire l''emergenza carceri in estate. Una riunione che si sarebbe dovuta tenere a maggio, non in piena emergenza, con agenti aggrediti ogni giorno e tensioni continue! Ad oggi sono undici le regioni ‘fuori legge’ che ospitano un numero di persone superiore al limite ‘tollerabile’: Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. A queste si aggiungono tutte le altre che superano comunque il limite ‘regolamentare’.
“Le cifre sono rilevate dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, ovviamente, se ne guarda bene dal presentarle all’opinione pubblica. Il capo della Dap, Ionta, in carica da un anno, non ha fatto nulla di concreto per risolvere i gravi problemi penitenziari e si è limitato a lanciare slogan sull’edilizia penitenziaria per disinnescare la bomba ad orologeria delle carceri italiane. Si continua a parlare di un piano sull’edilizia di prossima attuazione – prosegue Capace -, ma in realtà ci vorranno anni prima che venga costruito un singolo nuovo carcere. Per ora il Governo, il ministero della Giustizia ed il Dap si sono fatti scudo della drammatica situazione attraverso il senso di responsabilità del corpo di Polizia penitenziaria; ma queste sono condizioni di logoramento che perdurano da mesi. Quanto si pensa possano resistere gli uomini e donne della Polizia penitenziaria, che sono costretti a trascurare le proprie famiglie, per garantire turni massacranti con straordinari nemmeno pagati? Quanto stress psico-fisico pensano possa sopportare una persona costretta a convivere con situazioni sanitarie da terzo mondo, esposti a malattie infettive che si ritenevano ormai debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere, attenta a scongiurare suicidi, a schivare aggressioni da parte dei detenuti e tentativi d’evasione che sono all’ordine del giorno?”.

“Un atto di serietà politica e di onestà intellettuale sarebbe quello di leggere le cifre e ascoltare chi in carcere ci lavora da anni, la Polizia Penitenziaria appunto, e non improvvisarsi ad amministratori che non fanno i conti con la realtà. L’unica via d’uscita da questa situazione – conclude Capace - è il ricorrere alle misure alternative alla detenzione che è dimostrato dai numeri che sono lo strumento migliore per garantire la vera sicurezza per i cittadini. Soltanto chi ha la possibilità di allontanarsi dal carcere per una seria prospettiva di lavoro all’esterno non tenta di commettere altri reati”.


Il carcere di Foggia scoppia: "Siamo in 5 in ogni cella”.

Pubblicato il: 29/05/2009


La lettera scritta da un detenuto del carcere foggiano è firmata simbolicamente: «i discriminata di massa». In maniera garbata chi scrive (pur scegliendo l’anonimato) denuncia una situazione - il sovraffollamento delle celle - confermata da chi lavora nella casa circondariale del capoluogo dauno.

Le cifre datate 27 maggio parlano di 736 detenuti rinchiusi nella struttura alle «Caseremette», a fronte di una capienza ottimale di 390 persone. In pratica nelle 13 sezioni del carcere di Foggia inaugurato 21 anni, c’è quasi il doppio dei detenuti previsti: se le celle sono state costruite per ospitare due reclusi, ce ne sono quattro o cinque. Il 20 per cento della popolazione carceraria è rappresentato da stranieri di varie etnie: circa 400 sono invece i detenuti in attesa di giudizio. A fronte di una popolazione carceraria così numerosa, il numero della polizia penitenziaria non è che aumenti e rimane intorno a quota 340 persone, comprese quelle addette alle scorte dei detenuti ai processi e in altre carceri. In alcune sezioni quindi si finisce con un solo poliziotto penitenziario che deve controllare sino a 60/70 detenuti (e malgrado queste carenze di organico proprio il pronto intervento della polizia penitenziaria più di una volta ha evitato suicidi in cella).

In linea teorica il carcere di Foggia (dove esiste una sezione cosiddetta «As», ad alta sicurezza, per gli imputati di mafia ma non c’è il reparto 41 bis che prevede un durissimo regime carcerario) dovrebbe ospitare non più di 390 detenuti; ma sino a 500 reclusi la situazione è tollerabile. Quando si arriva invece quasi al doppio della capienza, la situazione diventa di grande disagio. La situazione ottimale si registrò nell’estate del 2007, un anno dopo l’indulto, quando nel carcere di Foggia c’erano poco più di 300 detenuti. Meno detenuti significa più possibilità per psicologici e operatori sociali (pochi pure quelli) di seguire i carcerati nel tentativo di un percorso di recupero. «Faccio appello al ministro di Giustizia» scrive il detenuto «perché ci possa aiutare a vivere almeno dignitosamente: vogliamo pagare le nostre condanne, ma senza subire soprusi. Perché è un sopruso il sovraffollamento nel quale siamo costretti. Viviamo in condizioni illegali, e questo finisce per essere una beffa vera e propria per la Legge che dovrebbe tutelare la dignità e le condizioni umane: la situazione di invivibilità nelle carceri italiane va avanti da anni».

Nella lettera il detenuto annuncia anche che anche i carcerati foggiani aderiranno ad una forma pacifica di protesta decisa a livello nazionale (anche se non viene spiegato in cosa consisterà questa protesta). «La mettiamo al corrente signori ministero che, se prima dell’estate il problema dovesse accentuarsi a vista d’occhio, noi detenuti del carcere di Foggia faremo sentire la nostra voce aderendo alla protesta che altri carcerati in varie prigioni italiane hanno deciso di attuare. Sarà una protesta pacifica al fine di poter vivere dignitosamente in cella».

Foggia, il carcere scoppia. L'appello: "Viviamo come topi"

Di Admin: 22/06/2009

Le cifre disegnano il quadro, le lettere dei carcerati raccontano la situazione drammatica che viene riassunta in una parola: sovraffollamento. Le cifre: nel carcere di foggia, dove dovrebbero essere detenute 390 persone con una situazione di tolleranza che non dovrebbe superare le 500 unità, i reclusi sono quasi 750. Il che significa che in celle di pochi metri quadri nate per ospitare 2 o 3 persone, ce ne sono almeno il doppio. E la polizia penitenziaria (meno di 350 unità) è insufficiente a fronte di una popolazione carceraria così numerosa, tant’è che spesso un solo agente deve occuparsi di sezioni dove sono rinchiusi fino a 80 detenuti.
Ma sono le numerose lettere giunte alla «Gazzetta» a raccontare come si vive nella struttura al rione Casermette nata nel ‘78. «Sono un detenuto del carcere di foggia». «Scrivo questa lettera nella speranza che oltre al ministro si possa scuotere anche l’opinione pubblica per quello che riguarda l’invivibilità delle carceri. Chiediamo l’aiuto dell’opinione pubblica non per uscire dal carcere, ma per vivere in maniera più dignitosa. In celle costruite per due o tre persone, ci obbligano a stare in cinque o sei. Il carcere di foggia porta una capienza di 330 detenuti, mentre attualmente ne siamo 750: lascio a voi immaginare il caos. Per questo stimatissimi italiani chiediamo il vostro aiuto: il primo luglio, in accordo con tutte le carceri italiane, noi detenuti e i nostri familiari faremo uno sciopero pacifico. Ricordatevi che pure noi siamo essere umani, non fateci vivere più come le bestie».
C’è anche chi ha tentato di togliersi la vita in cella, venendo salvato dalla polizia penitenziaria. Lo racconta in questa lettera alla redazione («credo che questa mia missiva non meriterà la vostra attenzione e tanto meno la pubblicazione: in caso contrario chiedo che vengano indicare solo le mie iniziali, R.M.») un detenuto. «Nei giorni scorsi ho tentato il suicidio in carcere: il fallimento del mio gesto ha raddoppiato in me il senso della disperazi
one, impedendomi di valutare correttamente l’infermo intorno a me. Avrei voluto andarmene con il silenzio e l’indifferenza: la filosofia di queste mie parole è la metafora del volto oscuro della questione carceraria con il suo vergognoso sovraffollamento. Il limite della sopportazione appartiene alla condizione umana e io sono arrivato ben oltre».
A chiedere l’intervento delle istituzioni è anche un detenuto ai domiciliari che prestà tornerà in cella. «Scrivo alla “Gazzetta”questa lettera perché sono molto arrabbiato: nei giorno scorsi sul vostro giornale ho letto dei problemi di sovraffollamento nel carcere di foggia. Scrivo per far
sapere che sono vicino a tutti i detenuti, visto che nelle carceri si vive una vita indecente e di gravissimi disagi. Non si vive bene perché in celle di 2 persone, ce ne stanno 4 o 5. Il problema del super affollamento dipende anche dal fatto che non sempre vengono riconosciuti i diritti del detenuto da parte dei magistrati: non concedono i domiciliari, non ti fanno andare in affidamento lavorativo. Io sono detenuto da un anno e mezzo, da 5 mesi ai domiciliari: non riesco ad avere l’affidamento lavorativo e so che tra qualche mese, con la condanna che diverrà definitiva, tornerò di nuovo dentro. Tra le difficoltà della vita in cella, c’è anche quella di vivere 24 ore su 24 con persone di etnia diversa, con usanze molto diverse dalle nostre. Al ministro vorrei dire di prendere provvedimenti seri: il carcere non dev’essere un luogo dove ci si finisce di rovinare, ma di recupero. Ma con questo sovraffollamento non si recupera proprio nessuno. Invece di costruire nuove carceri, che comporterà tempi lunghi, si può ricorrere alle misure alternative alla detenzione in cella».

La situazione è chiara nella sua gravità e riteniamo che il governo renderà operative tutte le misure che da tempo ha legiferato, per riportare il sistema penitenziario nei limiti del dettato sia costituzionale sia normativo vigente. Nuove strutture, calibrate per consentire l’esatto adempimento dell’istituto carcerario e della pena. Diciamolo, al di fuori d’ogni retorica: “Non è possibile che questo sistema penitenziario, ‘studiato’ per compensare i fallimenti d’una società che genera tanti cittadini emarginati, portati a proporsi fuori dalla legge, fallisca anche col negare a chi sta espiando in carcere la sua pena, l’innegabile grado d’umanità che è dovuto in nome dell’esistenza.” gma