lunedì 27 settembre 2010

BOCCA CHIUSA. FRENIAMO LA PAROLA. E’ TEMPO DI FATTI.


Noi foggiani: tutti romantici, parolai e amanti del non fare?

Il carattere parolaio e fanfarone del popolo italiano sarebbe frutto del romanticismo, che avrebbe ispirato l’unità del nostro Paese. Un atteggiamento, questo, che il tempo non avrebbe moderato, visto che a distanza di un secolo e mezzo il vizio perdura, nelle troppe parole della politica italiana, nella sua autoreferenzialità, nella sua troppa apparenza. Questa è l’analisi di uno studioso, il quale asserisce che l’Italia non è tra le nazioni il cui impianto unitario ebbe come premessa una storia reale ed esigenze pratiche presentite come comuni. Il nostro Paese sarebbe catalogabile tra quelli che si diedero un assetto statale a causa della cultura alquanto romantica che a quei tempi idealizzava il nazionalismo. L’Italia, insomma, sarebbe nata dalle parole poetiche di una somma d’intellettuali che s’ispiravano ancora a Dante. In verità ci sembra avventato pensare a un Cavour che s’ispirava solitario al sommo poeta italiano. Ci sembra più azzardato ridurre la nascita dell’Italia al solo moto di un nazionalismo che riteniamo velleitario, specie in punto di romanticismo. Forse bisognerebbe spostare il tiro sull’individualismo che da sempre anima l’italiano e preme sul suo lato critico, e alimenta la figura di un popolo di santi, poeti, naviganti, quando invece la nostra Italia comprende concreti inventori, fabbricanti e venditori.

Neppure ci sembra vero che nella società moderna, anche in quella italiana, sia lo straripare della comunicazione ad aumentare il distacco dei cittadini dalla realtà dei fatti quotidiani, dalle questioni nazionali. C’è invece un moderato rifiuto della società a rimanere staticamente soggetta a leggi dello stato che non sempre nascono da un moto di democrazia, oppure, che intervengono per tutelare i forti interessi dei forti gruppi di potere.

Nemmeno è per quel romanticismo che, nell’Italia, oggi, la Politica si allontana dal suo concetto e dovere istituzionale: quel fare in positivo le aspirazioni di sviluppo attese dal popolo. Essa è ridotta a vani proclami, a parole vuote, per parte d’individui che sembrano abili ad attirarsi il consenso elettorale del popolo; che in verità sono del tutto incapaci. Di fatto il popolo italiano, in punto d’elezioni, sia nazionali, sia regionali, sia comunali, deve votare, per scegliersi il suo bravo politico; ma non ha poi tanto da scegliere, tra ‘quegli’ individui privi di arte ed anche di parte, buoni soltanto a fare i parolai. Una volta che il teatrino della politica ha avuto i suoi pupi, figurarsi se essi sapranno mai realizzare i contenuti delle loro parole, ovverosia dei programmi(?), eh sì ‘da favola’, per essi apparecchiati dal comunicatore di turno.

Ma torniamo alle parole vuote che tanti soggetti preferiscono dire, a causa di una realtà sociale che, per essere realizzata, richiede voglia di farsi, di fare, attraversando per diversi tratti della vita personale, momenti di sacrificio e di fatica.

Qui da noi, nella nostra Foggia, è vero che i cittadini parlano troppo e fanno poco?

A parte la Politica e i politicanti locali, su cui zittiamo, non perché ci rimanga poco da dire, bensì per la sconvolgente idea che non è momento di parlarne, siamo del parere che noi foggiani abbiamo anche il parlare eccessivo dentro l’apatia che ci caratterizza. Perché il parlare, anche a tema libero o per fantasia, richiede coinvolgimento personale, confronto interpersonale, fa-ti-ca. I foggiani, della politica dicono: “ sti mariull’ “; tradotto: “ questi ladri “. Siamo parchi di parole, andiamo diritto alla sintesi. Non per questo ci difettano gli sproloqui. Ai foggiani piace il commento dei fatti, più che il parlare a vuoto, per romanticismo o difetto visuale della realtà. Il commentare, anzi, proprio escluderebbe quel distacco dalla realtà che invece affliggerebbe i parolai. Al foggiano piace tanto commentare i fatti. A Foggia, subito dopo l’ultima guerra, c’erano luoghi deputati al commento pettegolo: nei circoli cittadini e nello spazio antistante al Bar Cavour, il noto bar del centro cittadino, aveva luogo un gossip più raffinato. Là si riassumevano le notizie del giorno. Sembra che esse non risparmiassero nessuno. Tantomeno le donne belle e socialmente ‘in vista’. E là si confezionavano con cruda ironia le storie piccanti di tradimenti, di ‘corna’. Subito dopo, nella lista delle notizie, seguivano gli annunci di perdite notevoli al tavolo di poker, quelle dei commercianti e degli imprenditori più inguaiati dai debiti. Insomma c’era un festival giornaliero della parola in quel di Foggia. Ovviamente ci furono concittadini che diventarono famosi su quel ‘ring’ del pettegolezzo, dove la competizione al migliore scoop era quasi giornaliera. Nei bar dello sport cittadini e nei cosiddetti saloni da barba, si tenevano i commenti più popolari, molto più animosi di quelli del ceto sopraffino, sul ‘calcio’ nazionale e locale. Le più aspre erano le contese verbali tra tifosi milanisti e juventini, che ogni tanto diventavano manifesti a lutto affissi nei punti strategici della città, per malignare sull’ultima sconfitta della squadra di calcio avversaria. Il tema più diffuso del calcio parlato, ovviamente, era quello del club calcistico cittadino. Le ‘partite’ del Foggia Calcio tenevano banco per tutta la settimana. Erano parole su un tema forse frivolo, poi praticato quasi esclusivamente dai maschi, ma esse, già allora, per essere trattate, richiedevano approfondimento sui giornali dello sport: circa il ruolo tecnico del calciatore, lo schema di gioco applicato dall’allenatore, ecc.. Quanto alla politica e ai politici d’allora, forse meno corrotti e un poco più vicini alle richieste dei cittadini, a Foggia si commentava poco. Salvo dirne, comunque, quasi a tenerla lontana dai sentimenti personali: “ sti mariull’ “; tradotto: “ questi ladri “.

Insomma, anche in questa diffusione del gossip parolaio fine, del calcio parolaio populistico, non pensiamo ci azzeccasse il romanticismo, l’idealità astratta, il distacco della gente dalla realtà dei problemi nazionali e cittadini.

Oggi, a distanza di un cinquantennio, con l’evoluzione della società foggiana, la pratica del parlare è cambiata strutturalmente, s’è raffinata. Le abitudini nuove hanno cancellato nella città quei luoghi pubblici dell’incontro. L’intrattenimento all’aperto, nelle piazze, nei bar, nei saloni dei barbieri, è quasi scomparso. Vi si sta giusto il tempo del caffè, dell’aperitivo, di un veloce taglio dei capelli, poi si va via, essendo da tutti risaputo che il tempo a disposizione è ‘tiranno’. Il gossip è sui giornali specializzati, i tradimenti e le corna del conoscente, detti a voce, non appassionano più di tanto. La passione per ogni genere di sport, anche da noi, a Foggia, s’è diffusa, ma non se ne fa più parola nei bar dello sport o nei circoli sportivi. Essa è celebrata dinanzi al proprio televisore e se scappa qualche commento, peccato che esso non animi più la pronta battuta o lo sfottò della gente. Sul corre parola vivono e si diffondono i commerci del ristorante, del pub alla moda, del venditore d’abbigliamento. E della politica, oggi, qui a Foggia, se ne parla di più? Romanticismo a parte, perché la politica non è stata mai romantica col cittadino, se ne parla ancora meno. Circola in misura minore, nell’anonimato, il vecchio detto sti mariull’ “; tradotto: “ questi ladri “. Eppure, i ladri della politica sono aumentati, i fatti scandalosi che la riguardano sono tanti. I giornali locali sono referenti e deferenti della politica. I cittadini foggiani evitano di parlarne male, perché temono di dover bussare a quella porta per raccomandarsi, per supplicare il posto di lavoro per un familiare. Queste sì, sono una parte che oggi ancora abbonda, delle cosiddette ‘parole vuote’.

Per concludere, sentiamo di dire che i foggiani, i cittadini foggiani, non sono tutti romantici, parolai e amanti del non fare. gma